Elsa Fonda

Elsa Fonda

La cresta sulla zampa

Questi ricordi mi accompagnano da quando avevo vent’anni. Scritti col senso di colpa per aver lasciato il mio paese, li ho custoditi in segreto perché li ritenevo personali. Ancorati dentro di me, erano fissi al passato, esattamente com’era.

Consapevole di appartenere a milioni di trasmigranti per lavoro, ho voluto salvare una tradizione fatta di investimenti affettivi.

I sentimenti, nel vuoto della famiglia scardinata, pesavano come oggetti. Per non perderli, ho riletto quaderni e diari, consultato archivi, libri e giornali, aggiunto testimonianze.

Per me è un libro sacro: riguarda il sacrificio mio e della mia gente. Ho tentato di definire quel patrimonio indefinibile, districandomi tra le reti della griglia amorosa. Per non dimenticare paesaggi, personaggi, parole. Per riportare in vita le cose amate: estati lunghe, giornate chiare, decisi tagli di luci e ombre nelle contrade, monti in lontananza, e tutt’intorno mare, e sopra il cielo. L’orizzonte dava i brividi al tramonto. Una luminosità miracolata avvolgeva anche le pietre.

Immersa nell’aria limpida come nel liquido amniotico, ritmavo col battito del cuore e col respiro quel piccolo mondo ricco di suoni, colori, sapori, profumi.

La mamma tornava dal mercato col pesce fresco, il pane caldo, verdure e frutti rugiadosi. Quell’odore non l’ ho sentito più.

Ora non sentiamo più l’internazionale. Non saliamo più al duomo in processione, salmodiando sotto l’accordo delle campane. Ma, seduti sugli scogli, i sorrisi contagiati dalla gioia, potremmo cantare canzoni intonate da voci care e partecipare alla grande armonia.

Il mio paese vuol dire nostalgia degli universi, dove i bambini giocano col creato e spiragli di cielo svelano il mistero del cosmo.

Claudio Magris – Trieste, 6 agosto 2001

Mi pare un libro molto forte, poetico, doloroso e capace di andare inaspettatamente e dolorosamente in fondo alla verità – una verità che non è soltanto individuale, ma è al tempo stesso individuale e collettiva, storica. La cosa che mi sembra più riuscita è quell’innesto di storia personale (personalissima, con una accentuata individualità) e storia corale di una comunità, di una gente, di una terra, che si protende addirittura in un passato lontano. In questo senso mi sembrano decisamente riusciti quegli incastri, per così dire, fra notizie storiche (che però non sono soltanto notizie, ma vengono praticamente rivivificate) e racconto personale. Splendida la pagina in cui si parla di riportare in vita le cose amate, quelle estati lunghe e giornate chiare, quei decisi tagli di luce e ombra, un passo bellissimo.

Memoria individuale e al tempo stesso collettiva, testimonianza di un periodo intenso, il libro restituisce ricordi in squarci improvvisi e taglienti. La scrittura, immediata e spontanea, impreziosita dal dialetto, è il luogo di un impegno etico. La protagonista, abbagliata dalla luce dell’incantevole Pirano, vive le infinite suggestioni che corrono sulle creste delle onde e sulle ali del vento. Ma quel magico paese natìo è disincantato dalla guerra; e la cresta sulla zampa, simbolo di vanità aggressive, diventa metafora di universale disfacimento.

Un particolare ringraziamento a TV Koper - TeleCapodistria

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